Ho iniziato ad arrampicare sette anni fa. Mi sembra passato un secolo.
La mia non e' la classica storia dell'arrampicatore con un dono innato. In verità non sono mai stato abile ad arrampicare per natura, e non penso lo sarò mai. Però sono sempre stato un gran testone e c'è una cosa che mi sprona sono le sfide.
Così a partire dal giorni in cui misi il mio primo imbrago, e presi a tremare per il terrore su una breve via che sarà stata si e no un sentiero per le capre, ne è passata di roccia sotto i polpastrelli.
Innanzitutto ho visto una quantità impressionante di gente iniziare ad arrampicare e smettere nel giro di sei mesi. Tanto è vero che nell'ambiente noi che arrampichiamo da anni ci conosciamo più o meno tutti.
Ricordo i primi anni, i migliori. Per uno strano motivo, che poi compresi essere la mia totale inettitudine verso questa attività, trovavo ogni falesia estremamente difficile. E, non mi vergogno a dirlo, sovente per arrivare in catena ai tiri ne facevo di tutti i colori. Roba da circensi!
Solo in tempi recenti ho scoperto il rinvio telescopico, ma questa e' un'altra storia.
Ricordo che sognavo come lo fa tuttora chi inizia il 7a come un grado mitico, qualcosa a cui anelare. Tanto e' vero che, tribolando a dovere già sui 6a, mi dicevo che non ce l'avrei mai fatta. E dico proprio mai.
Col passare del tempo in un moto di entusiasmo mi concessi il diritto di sognare di salirne uno di 7a. Ma la faccenda non fu affatto indolore. Infatti nonostante circolassero e circolino tuttora leggende metropolitane sui 7a farlocchi sparsi nelle falesie piemontesi nessuno sembrava essere più di tanto potabile.
Ben presto capii che gli arrampicatori definiscono facile un 7a quando ha un solo passaggio difficile. Va detto però che sovente quel passaggio e' particolarmente difficile. Ad ogni modo dopo una ricerca spasmodica di un tiro favorevole lo trovai in Val Cimoliana su da me in Friuli. Dopo numerosi tentativi salii finalmente la mia prima via di quel mitico grado.
Ora dato che l'arrampicatore e' un animale ingordo decisi che ne avrei voluti salire altri di 7a.
E così via cercando sempre di arrivare sempre un po' più in la' per stringere l'appiglio più sfuggente.
Tre anni fa in un periodo di buona forma e con i primi 7b nelle dita cominciai a provare il 7c di 'diabolik' una linea verticale e "ditosa" nella Valsusina Los Area di Chianocco.
Un approccio deludente alla via dato che, devo darne atto, mancavo sia della tecnica che, ancora peggio, del massimale di dita. Lasciai perdere il tiro quasi subito bollandolo come "troppo di dita" per me.
L'anno dopo in un caldo gennaio riprovai il tiro perché sentivo uno strano richiamo. Quella era una vera sfida, per me. A fatica riuscii a fare tutti i singoli. E dico solo a farli perché un riposo a rinvio non me lo toglieva nessuno.
Eppure quella linea forse perché così repulsiva continuava ad attrarmi.
Diabolik e' una linea essenziale e breve. Un compatto muro di calcare leggermente strapiombante i cui primi 7-8 metri racchiudono movimenti violenti e suggestivi.
Si parte sotto una pancia, una lama verticale per la mano destra ed il bordo inferiore della pancia per la sinistra. Alzandosi si prende un buon bidito per la sinistra ed un verticale per la destra, piedi in bocca e si va di sinistro a prendere una lametta verticale.
Cambio piede laterale ed incrocio ad una tacca per la destra che va girata per bene.
A sinistra c'è un buchetto per tre dita ci si alza coi piedi e su di sinistro ad un monodito (!) piede sinistro altissimo e incrocio di destro a prendere un buchetto sopra il monodito. Questo a mio parere e' il movimento più difficile perché richiede coordinazione e tenuta di dita o sarebbe meglio dire di monodito.
Da qui ci si alza a prendere un verticale poi due buchetti a destra, un lancetta ad una tacca buona e via via più facile fino in catena.
Quest'anno, complice un buon allenamento invernale nella mitica palestra SASP, decido di tornare a provare il tiro. Qualche giro ad aprile rivela confortanti miglioramenti. Ma non lo chiudo.
Così ieri approfittando della giornata di tempo loffio e nuvoloso torno alla bella parete di Chianocco per tentare di saldare il conto.
Primo giro della giornata ripasso i movimenti, come al solito fatico come un asino sul passo del monodito. Fatico sia a prenderlo che a tenerlo. Ad ogni modo i singoli ci sono tutti.
Secondo e terzo giro cado in punti diversi tanto da trovare ardua la riuscita.
Quarto giro parto stanco ma convinto. Primi movimenti vengono fuori naturali, le dita stringono a dovere. Arrivo al monodito che non sento più nulla, mani anestetizzate. Per fortuna non ho incertezze e in pochi movimenti sono fuori dal duro.
Moschetto la catena e mi faccio calare. Il cinque a Stankomort che fa sicura ed uno sguardo al medio sinistro che ha tenuto il mono, e' ancora li'.
Incredibile e' una sensazione strana realizzare una lunghezza di corda che bene o male e' rimasta irrisolta per tre anni. Un traguardo per me. O un nuovo inizio per questa storia infinita che è l'arrampicata.
E mentre sono qui che scrivo do' uno sguardo alle guide d'arrampicata accatastate sulla scrivania della mia camera. Ci sono così tanti posti ancora da vedere e così tante sfide da raccogliere!
Voglio dedicare questa salita a mia nonna Ada che recentemente è venuta a mancare. Ricordo quando in Friuli veniva a vedermi arrampicare e con un nepotismo smaccato diceva che ero bravo ad arrampicare anche quando facevo il "salame appeso".
E voglio concludere con una frase che la mia nonna avrebbe senz'altro condiviso.
Chi non è perseverante, non otterrà mai alcun cambiamento.
Bellissimo articolo! E bellissima citazione finale, mi ci ritrovo in tutto :) !
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