E' il giorno. E' arrivato così, all'improvviso, come quei momenti tanto attesi che quando arrivano ti pare sia troppo presto o siano così diversi da come te li aspettavi da credere che non possano avvenire.
Sono le dodici e trenta; ho appena mangiato una pasta in bianco che mi è rimasta sullo stomaco per l'agitazione. Mi vesto diversamente dal solito sostituendo abiti comodosi con indumenti da cerimonia. Ho tagliato i capelli ma la barba l'ho solo aggiustata come fosse un vessillo di come sono veramente: un disadattato.
Mi guardo allo specchio ed in fondo non mi riconosco.
Mia madre mi fotografa con il cellulare che deve essere difettoso perché orientato in orizzontale mi immortala come alto e stretto mentre in verticale appaio basso e largo. Ne conveniamo che è meglio piantarla lì con le foto.
Saluto, specialmente Tobia che pare sentire che è un giorno un po' speciale.
Scendo a prendere la macchina quasi a nuoto tanta è l'umidità nell'aria e mi sento addosso gli sguardi impietosi della gente in pantaloncini e canottiera. Ho caldo, si, non immaginate nemmeno quanto mi senta fuori luogo.
Per l'ansia di non trovare parcheggio ed arrivare in ritardo alla cerimonia lascio la macchina quasi a casa così che mi viene da pensare che forse potevo anche lasciarla in garage. Tra la macchina e la facoltà attraverso un deserto; pare impossibile ma per qualche secondo ho anche allucinazioni audiovisive vedendo l'orsetto della coca-cola che mi invita a bere una bibita fresca.
Entro in una facoltà gremita di gente così alla calura si aggiungono repentini attacchi di panico; i misantropi come me possono immaginare.
Presto ci dividono a seconda dei corsi di laurea e ci mostrano quale scenica entrata dovremo fare – mi stupisco che non abbiano pensato di calarci da una elicottero militare-. Poi dopo averci mostrato che i posti a sedere riportano i nostri nomi – che lusso!- ci pregano di uscire e di ripresentarci dopo mezz'ora.
Così vado a prendermi due caffè – si, lo so, è stupido ma quando sono agitato per qualche mia atavica convinzione combatto l'ansia con il caffè ottenendo spesso sbalzi pressori degni del guinness world record-.
Poi arriva mio padre che mi riconosce solo dopo che lo saluto.
Vestito così non ti si riconosce. Mi dice.
Cambio discorso perché trovo che abbia ragione.
Passata mezz'ora fanno entrare da una parte gli accompagnatori e dall'altra i laureandi.
Così porto mio padre all'entrata della sala accompagnatori e mi dimentico di dover raggiungere gli altri studenti che nel frattempo stanno cercando un disperso: ME!
Li raggiungo e gli assistenti mi dicono: poteva anche farsi vivo!
Faccio spallucce mentre mi guardano in cagnesco.
Mi omologo nella fila con la camicia che è diventata una sudaticcia seconda pelle.
Poi ci fanno entrare. Musica di Mission di sottofondo e noi laureandi che, un poco a disagio, ci facciamo strada su quelle scale così ripide da pensare che prima o poi qualcuno se le farà rotolando – strano che non sia stato io!-.
Una volta accomodati ci fanno rialzare – ma quanti saliscendi!- e parte l'inno d'Italia.
Davanti a noi si staglia la commissone dei 9 una sorta di compagnia dell'anello universitaria. Tutti e 9 vestiti con la toga mi appaiono come la santa -?- inquisizione.
Poi il Preside fa un discorso breve ed incisivo e parte a chiamare i laureati.
Uno dopo l'altro passiamo a stringere le mani dei 9 ed a prendere l'attestato.
Passo, naturalmente, tra gli ultimi – c'è anche chi dice che gli ultimi saranno i primi, no?- dopo che il Preside ha detto più o meno dieci volte: col potere conferitomi vi dichiaro Dottori in economia e commercio.
Stringo la mano ai 9 e uno dopo l'altro mi dicono 'complimenti Dottore' così che viene da girarmi per vedere chi sia questo Dottore dietro le mie spalle.
Finito il tutto torno a casa, faccio la doccia e divoro l'ottima salsiccia cruda che mi ha preso Pierino.
Adesso solo più scalata, cari lettori, e ad ottobre: SPAGNA!
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